Il progettino

Voi il post e io le foto.

2005-05-03

La stessa te



Un inedito di Frieda

Ti vedo, osservo.
Ecco, apri la portiera, guardandoti attorno. Sali in macchina ma non parti.
Guardi fisso davanti a te un vuoto, mascherato da sopracciglia corrucciate.
Sbatti la mano sul volante; una seconda, una terza volta.
Accendi il motore, girandoti dopo aver ingranato la retro, il braccio destro attorno al sedile del passeggero.
Sento i nervi del tuo collo sussultare e scricchiolare di tensione per il movimento rapido della testa, che si volta nuovamente in avanti.
Qualche metro in retromarcia, molto lentamente; poi la prima e l’accelerata.
Sei agitata e non dissimuli. La perfetta mistificatrice che rincorri è rimasta appesa al giallo nicotina che sporca alcune dita.
Zelante neofita bagnata da acque profane e sconsacrate, individualista promiscua fino al limite più estremo del parossismo: galleggi, come olio nell’acqua, ostentando affettazione anche quando peli le patate, o ti infili le mutande.
Ora frughi nella borsa e nello specchietto retrovisore.
Solo un’occhiata fugace senza troppi ripensamenti, un’occhiata sbilanciata dalla parte opposta rispetto al riflesso del vetro.
Ti seguo, spio.
Dalla mia postazione distinguo ogni riflesso dei tuoi capelli, accesi e spenti dai fanali delle auto che ti sorpassano.
Accesi e spenti, accesi e spenti. Accesi e spenti.
Ricevi distintamente la mia presenza: il dono dell’ubiquità è all’occorrenza ingannevole.
Ti fermi, ed afferri con entrambe le mani lo specchietto retrovisore.
La condanna più gravosa che ti è stata inflitta è il talento nel non riuscire a vederci dentro quello che ci vedi.
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